Trama

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    Dea del Disordine Organizzato

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    27 Agosto 2014
    Londra, Inghilterra



    La Coppa del Mondo di Quidditch si era appena conclusa e nelle case di tutti i maghi britannici iniziava a diffondersi l’aria di palpitante attesa che precedeva l’arrivo delle lettere per Hogwarts. Tanto gli undicenni, quanto i ragazzi più grandi non vedevano l’ora che i gufi portassero loro notizie della scuola di magia più famosa del mondo. Nulla di questo accadeva nelle case dei Nati Babbani, ma a breve molte delle loro domande avrebbero trovato risposta grazie agli impiegati del Ministero della Magia.
    Da ben sedici anni tutto andava a gonfie vele e la massima preoccupazione dei maghi inglesi era stare al passo con le mode del momento, ma quello non era un anno come tanti.
    A casa Potter, nella camera da letto del Prescelto e della sua temibile moglie, si respirava un’aria di tensione. Ogni notte la stessa domanda e la stessa risposta rimbalzavano tra quelle quattro mura, ma da quando il Salvatore del Mondo Magico era tornato a casa con quella cicatrice le cose si erano complicate.
    Ginny non aveva più il coraggio di chiedergli com’era andata in ufficio e ormai da settimane Harry manteneva il più stretto riserbo sull’argomento. Nessuno dei due voleva essere il primo a sussurrare la parola pericolo e nelle braccia del proprio compagno sembrava così facile credere che le ombre all’orizzonte fossero solo giochi di luce. Avevano già combattuto e vinto. Meritavano la serenità.
    Ma Harry sapeva per esperienza che ignorare il problema non l’avrebbe fatto sparire. Come tutti, giù all’Ufficio Auror, aveva il sale sulla coda da settimane.
    Tutto era cominciato con un articolo in prima pagina sul Profeta della Domenica che annunciava il ritrovamento di un antico e preziosissimo reperto risalente ai tempi di Morgana. Dalla foto, il medaglione non sembrava essere nulla di speciale, ma Hermione si era eccitata come una dodicenne e aveva ragione. Qualche settimana dopo un altro articolo ‒ un trafiletto appena nella pagina del gossip ‒ confermava che si trattava del medaglione della potente strega e che maghi da tutto il mondo erano in viaggio per formare un’equipe che lo studiasse.
    Sembrava tutto talmente normale che aveva smesso di pensarci, almeno finché una furiosa Strillettera di un ancor più infuriato Roland De La Rochefould l’aveva informato che il manufatto era stato rubato e che il servizio Auror britannico era la vergogna dell’Europa.
    Questo, ovviamente, aveva messo in allerta Kingsley, che aveva ritenuto indispensabile convocarlo nel suo ufficio e spiegargli per esteso quanto fosse potente quel tale che era venuto apposta da Parigi per guidare la famosa equipe. Non aveva mancato di aggiungere quanto fosse importante ritrovare il medaglione prima che la notizia facesse il giro del mondo e il Ministero fosse messo alla berlina.
    Scampato allo Schiantesimo, Harry aveva preso i migliori tra i suoi ed era andato sul luogo del furto. Avevano passato al setaccio l’intero edificio, ma non un solo indizio era stato trovato, almeno finché si erano serviti dei metodi magici.
    Tutto era stato fatto in maniera più babbana possibile e con tale cura che nemmeno la scientifica di Scotland Yard ‒ richiesta da Kingsley in persona ‒ era riuscita a trovare niente.
    L’unica spiegazione che gli era venuta in mente era che avessero a che fare con mercenari babbani che non sapevano con cosa avevano a che fare, ma allora come erano riusciti a fare un lavoro così pulito? Se non fosse scattato l’incantesimo d’allarme all’ultimo momento, si sarebbero accorti del furto solo all’ultimo momento.
    Il problema principale era che in quelle settimane non avevano fatto alcun progresso e la stampa ormai li mangiava a bocconi da squalo. Di lì a poco non avrebbero lasciato che le ossa agli Schiantesimi di Kingsley. Non riusciva a capire che diamine se ne facessero, quelli, di un dannato medaglione. Non aveva idea che le cose avessero appena iniziato ad andare male.



    3 Settembre 2014
    Wiltshire, Inghilterra



    Stonhenge spiccava contro il cielo azzurro, immensa e austera nella sua monolitica perfezione.
    Nonostante nessuno vi celebrasse più riti da secoli, era ancora satura di magia. Pulsava di una luce lattiginosa, quasi supplicasse di esserne alleggerita.
    Sorrise. Accarezzò la fredda pietra e varcò l’arco. Il suo Incantesimo Anti-Babbano teneva alla larga i turisti e, visto che i maghi erano troppo stupidi per capire il valore di quel tempio e non ci andavano mai, aveva tutta la privacy necessaria. Si rigirò il medaglione tra le dita e lo mise in tasca. Stese a terra un lenzuolo adattato ad altare, sul quale aveva dipinto un cerchio magico e tutte le rune contenitive del caso. Doveva sbrigarsi. Se il minuto che la sua famiglia aveva atteso per secoli fosse passato, Lei non gliel’avrebbe mai perdonato. Sollevò la bacchetta di castagno verso il cielo e fece il giro del cerchio di pietre due o tre volte, senza smettere di recitare l’incantesimo.
    Il medaglione si illuminò pian piano. Iniziò con una lieve iridescenza, che poco per volta si trasformò in un bagliore di colore indefinito. Sembrava risucchiare il potere di Stonhenge come un lattante aggrappato al seno materno.
    Lo sentiva, ma non doveva interrompersi per controllare. Continuò a salmodiare finché le pietre intorno non persero ogni lucentezza.
    A quel punto, la terra tremò. Ruggì al cielo la propria furia e si squarciò sotto il telo come se volesse fagocitarlo.
    Ma il medaglione non cadde e nemmeno il telo. Si alzarono in volo. Il primo rimase sospeso sul fumo nero che si alzava dal crepaccio e il secondo si stese e volò a fare da fondale.
    Una figura emerse dal fumo, o forse fu lo stesso a condensarsi in un corpo di donna.
    La guardò.
    Era la donna più bella che avesse mai visto. Sembrava senza età e del tutto a proprio agio nella nudità integrale che esibiva.
    La terra si richiuse sotto i suoi piedi e la donna fece un passo avanti. Prese il medaglione e lo indossò come se non avesse avuto bisogno di altro. Sorrise e le sue labbra parvero rosse, ma da dove veniva lei non esistevano cosmetici ‒ o almeno credeva.
    Si inchinò e abbassò gli occhi sulle proprie ginocchia. « Mia Signora. » sussurrò. La sua voce appariva gracchiante, come se avesse appena ingoiato carta vetrata. Appellò dei vestiti dallo zaino e li porse a Lei.
    La donna diede loro fuoco con un gesto secco del polso e ne plasmò altri, più di suo gusto, su quel corpo giovane e flessuoso. Anche se fuori moda, la seta la fasciava come una seconda pelle e la rendeva bella abbastanza da non sfigurare in confronto alla pelle nuda. « Tu e la tua famiglia siete stati all’altezza delle aspettative. » disse. Aveva uno strano accento, diverso da qualunque altro avesse mai sentito, ma parlava un ottimo inglese, forse grazie a qualche incantesimo.
    « S-Siete la nostra progenitrice, Mia Signora. Era il minimo. » si schermì l’uomo. Si alzò, ma continuò a guardare a terra. « È già tutto pronto per la vostra comodità. Qualsiasi cosa desideriate, non avete che da chiedere. » disse, in attesa che lei lo precedesse fuori dal tempio.
    Lei sorrise. « Vendetta. » disse. « Voglio vendetta contro chi mi ha imprigionato. ».
    « L’avrete, Mia Signora. L’avrete e con essa il mondo. » giurò. Avevano atteso e vegliato per secoli e finalmente il momento era giunto. Strinse i pugni e si diresse alla macchina. C’era così tanto che doveva mostrarle. Il mondo era cambiato dai sui tempi e non poco.

     
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